Nota professionale sentenza T.A.R. Lombardia, sez. IV, 19/11/2025 n. 3760 – il silenzio-inadempimento della P.A.

Il T.A.R. Lombardia, nella sentenza n. 3760/2025, si è recentemente pronunciato su una vicenda di particolare interesse per l’analisi svolta sull’ambito applicativo dell’art. 2 della Legge n. 241/1990, soffermandosi in particolare sui presupposti che ammettono il ricorso avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a., la cui determinazione è risultata decisiva nell’accogliere in toto il ricorso promosso dallo Studio Legale “Bruno Bianchi &Partners”.

L’art. 2, comma 1  della Legge n. 241/1990, come noto, impone all’Amministrazione il dovere di concludere il procedimento amministrativo mediante l’adozione di un provvedimento espresso qualora esso consegua ad un’istanza di parte; sulla scorta di ciò, la deducente difesa ha eccepito l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione in relazione all’istanza presentata ai sensi della Legge n. 241/1990, volta all’espletamento degli incombenti per la realizzazione dell’opera ritenuta necessaria per la completa urbanizzazione dell’area interessata dall’intervento autorizzato dall’ente, avendo la ricorrente già interamente versato i relativi oneri. Il ricorso ha altresì ad oggetto l’illegittimità dell’inerzia serbata dall’Amministrazione a seguito del successivo atto di diffida e, conseguentemente, l’accertamento del relativo obbligo di provvedere.

Il T.A.R. Lombardia, esaminando le censure proposte, ha precisato che l’accoglimento del ricorso avverso il silenzio presuppone, da un lato, l’esistenza di un obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione e, dall’altro, l’inerzia della stessa oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento.  Secondo quanto riportato nella pronuncia de qua, il primo di tali presupposti è stato oggetto di una progressiva evoluzione sul piano interpretativo alla luce di “una nuova consapevolezza circa lo statuto giuridico della relazione procedimentale (su cui di recente cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7 del 2021) in quanto soggetta non solo alle c.d. regole di validità degli atti ma anche a quelle di comportamento (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5 del 2018), tra cui campeggia l’obbligo di buona fede, da tempo ritenuto cogente anche nell’ambito del diritto pubblico, quale regola generale non solo di interpretazione ma avente anche una concorrente funzione correttiva ed integrativa delle relazioni giuridicamente rilevanti (…)”.

Nella delineata prospettiva, l’obbligo di provvedere è stato ritenuto sussistente anche in mancanza di un’espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza, “purché vi siano precise “ragioni di giustizia e di equità” che impongano l’adozione di un provvedimento ovvero laddove, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni – quali esse siano – dell’amministrazione”.  Peraltro, è stato evidenziato che lo stesso art. 2, comma 1 della Legge n. 241/1990, impone all’Amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso – seppur in forma semplificata – qualora le istanze risultino inammissibili o manifestamente infondate, purché riferite all’esercizio di un pubblico potere. Tale disposizione costituisce ulteriore conferma della prevalenza del “diritto ad una risposta” anche” rispetto al principio del buon andamento che, in chiave di efficienza ed economicità, osta al dispiego di attività amministrativa per l’esame di istanze palesemente infondate”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il T.A.R. Lombardia ha ritenuto l’istanza in parola meritevole di riscontro riconoscendo che all’obbligo di provvedere del Comune corrisponde una situazione soggettiva protetta in capo alla ricorrente: “il legislatore ha imposto al soggetto pubblico di rispondere alle istanze private così sancendo l’esistenza di un dovere che rileva ex se quale diretta attuazione dei principi di correttezza, buon andamento e trasparenza, consentendo altresì alle parti, attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso, di tutelare in giudizio i propri interessi rispetto a provvedimenti ritenuti illegittimi”. A fronte della sussistenza del dovere di provvedere, i giudici hanno accertato la violazione del termine di trenta giorni previsto dall’art. 2 della Legge n. 241/1990 – che trova applicazione in via residuale in mancanza di altro termine specifico riferibile alla fattispecie – ed hanno quindi accolto il ricorso proposto dallo Studio Legale “Bruno Bianchi &Partners” dichiarando l’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza presentata dalla ricorrente.