Nota professionale alla Sentenza Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., n.422/2025: la modifica del sedime nell’intervento di ristrutturazione edilizia.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (C.G.A.R.S.) ha recentemente definito un’importante questione interpretativa in materia di interventi edilizi, pronunciandosi sull’appello proposto da un privato per la riforma della sentenza resa dal T.A.R. per la Sicilia. Quest’ultimo, infatti, aveva rigettato il ricorso contro il provvedimento comunale di diniego del permesso di costruire, ritenendo che un intervento di demolizione e ricostruzione con traslazione della volumetria dell’immobile su altra area – catastalmente e fisicamente distinta – non potesse qualificarsi come ristrutturazione edilizia, bensì come nuova costruzione.

La questione di diritto dedotta attiene all’interpretazione della nozione di “ristrutturazione edilizia” contemplata dall’art. 3, comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 – nella formulazione recentemente modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), del D.L. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120/2020 –  nella parte in cui statuisce che “Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.

La decisione del C.G.A.R.S. riveste particolare importanza poiché si discosta dalla lettura restrittiva del giudice di primo grado affermando una nozione più amplia di “ristrutturazione edilizia”.  I giudici di appello non hanno condiviso la tesi sostenuta dal T.A.R. secondo cui quest’ultima non ricomprenderebbe anche la demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso più o meno distante dal primo, essendo stata soltanto ampliata la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato. Dopo le innovazioni apportate all’art. 3, comma 1 lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, la ristrutturazione edile deve infatti concepirsi “secondo la rinnovata ottica desumibile dal tenore testuale della disposizione in esame volta a non vincolarla ai precedenti requisiti presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare, ivi inclusa l’area di edificazione”.

A supporto della propria decisione è stato evidenziato che la nozione di “sedime” – richiamata nella nuova formulazione dell’art. 3, comma 1 lett. d) D.P.R. n. 380/2001 – è molto generica e non riporta alcuna specificazione. Di conseguenza, “poiché il legislatore si è limitato soltanto ad ammettere la ristrutturazione anche in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un diverso “sedime”, ossia su un’area diversa da quella originariamente occupata dal manufatto da demolire e ricostruire, deve ritenersi possibile, in assenza di specifiche indicazioni contrarie, siffatta attività edificatoria anche mediante l’utilizzo di un’area diversa, anche se appartenente ad un altro lotto. Il sedime è, infatti, la superficie di terreno sulla quale poggiano le fondazioni di un edificio o di un manufatto edile, essendo la proiezione longitudinale della costruzione sul terreno, e, quindi, non coincide con l’area di un intero terreno catastalmente censito”.

Sulla scorta di quanto sopra, è stato statuito che “la riconosciuta possibilità di demolire un fabbricato esistente e di ricostruirlo su un’altra area, ossia su un diverso sedime, non può ritenersi soggetta ai limiti dimensionali del terreno originariamente interessato dalla costruzione da ristrutturare, potendo, dunque, ammettersi la ricostruzione anche altrove, ossia in un diverso lotto, pur sempre nel rispetto delle capacità edificatorie proprie di quest’ultimo”.  Secondo quanto riportato nella sentenza, “in tal senso depone il novero degli elementi di novità che possono contraddistinguere l’edificio ristrutturato, potendo, invero, quest’ultimo differire da quello originario per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, al punto da potersi desumere la volontà del legislatore di superare quell’originaria relazione di continuità strutturale che doveva necessariamente contraddistinguere l’immobile ricostruito rispetto a quello demolito”.

Da ultimo, contrariamente a quanto assunto dal T.A.R. per la Sicilia, è stato precisato che non “può ritenersi che la nuova concezione della ristrutturazione edile implichi “consumo di nuovo suolo”, poiché la scelta di ricostruire altrove presuppone pur sempre la necessità di demolire da un’altra parte e, pertanto, postula un bilanciamento tra l’edificio da realizzare e quello da eliminare”. Il che segna l’elemento distintivo della nuova ristrutturazione edile – così come delineata dall’art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 – rispetto alla nuova costruzione di cui all’art. 3 comma 1 lett. e) del D.P.R. n. 380/2001: “la prima presuppone pur sempre la demolizione di un preesistente manufatto a differenza della seconda che si afferma quale categoria residuale comprendente gli interventi non riconducibili in altre casistiche e, quindi, anche l’attività edificatoria del tutto autonoma e indipendente da eventuali preesistenti edifici da demolire”. Resta fermo che “la scelta di edificare altrove implica la necessità di rispettare le capacità edificatorie del terreno da utilizzare, salva la possibilità di ricorrere alla cessione di cubatura”.