La prassi della cd. «validazione» alla luce della sentenza n. 217 del 2022 della Corte costituzionale – 2° parte

  • Il potere del pianificatore comunale in merito alla cd. «validazione»: l’autonomia normativa

 

Dall’applicazione del principio appena delineato al quadro legislativo odierno è possibile trarre delle significative implicazioni anche con riguardo alle ipotesi di cd. «validazione» eventualmente accordate dai Comuni nei propri regolamenti edilizi all’esito dell’adeguamento allo schema-tipo approvato dalla Regione Lombardia con D.G.R. n. 695 del 2018.

 

A tal proposito giova preliminarmente definire i tratti essenziali della cornice normativa vigente.

 

La Costituzione colloca tra i principi fondamentali l’articolo 5, con cui si dispone che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».

 

In relazione al decentramento amministrativo viene in rilievo il Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, oggetto di riforma con l. cost. n. 3 del 2001, che all’articolo 114, comma 2, sancisce che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione» ed al comma sesto dell’articolo 117 afferma che «[…] I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».

 

Significativa importanza assume, inoltre, l’articolo 118, che al primo comma attribuisce ai Comuni, quali enti territorialmente più prossimi al cittadino, le «funzioni amministrative» – salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – stabilendo, al comma secondo, che «i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

 

Tra le fonti di rango primario deve ricordarsi che l’articolo 3 del D.lgs. n. 267/2000 (cd. «Testo Unico Enti Locali») – rubricato «Autonomia dei comuni e delle province» – al primo comma sancisce che «le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome»: per quanto qui di interesse, si evidenzia che al comma secondo il Comune viene definito come «l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo» ed al comma quarto se ne afferma l’«autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa», nonché quella impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. Il comma quinto della disposizione prevede, infine, che «i comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali».

 

Orbene, con precipuo riferimento alla materia edilizia occorre evidenziare che il D.P.R. n. 380/2001 (cd. «Testo Unico Edilizia») al comma quarto dell’articolo 2 (rubricato «Competenze delle regioni e degli enti locali») dispone che «i comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia», salvo specificare, al primo comma dell’articolo 4 (rubricato «Regolamenti edilizi comunali») che «il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell’articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi».

 

Ma vi è di più.

 

Il medesimo articolo 4 del D.P.R. n. 380/2001 al comma 1-sexies ha previsto che il Governo, le Regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludessero «in sede di Conferenza unificata accordi […] o intese […] per l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, è adottato dai comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

 

Come ben noto, l’Intesa riguardante l’adozione del regolamento edilizio-tipo è stata siglata il 20 ottobre 2016 tra il Governo, le Regioni e le autonomie locali in sede di Conferenza Unificata: successivamente, sulla base di tale accordo, la Regione Lombardia ha recepito lo schema-tipo del regolamento edilizio (R.E.T.) e le definizioni tecniche uniformi, effettuando la ricognizione delle disposizioni normative in materia edilizia, nonché fornendo le indicazioni utili per il necessario adeguamento dei regolamenti edilizi comunali, con la delibera n. 695 del 24 ottobre 2018 (pubblicata sul B.U.R.L. n. 44, Serie Ordinaria, del 31 ottobre 2018).

 

Dalla ricostruzione – seppur sommaria – che precede se ne inferisce che l’autonomia di cui godono i Comuni nel disciplinare l’attività edilizia per mezzo di propri regolamenti trova la sua attuale legittimazione in molteplici fonti di rango tanto costituzionale quanto primario.

 

  • Conclusioni in ordine alla regolamentazione locale comunale

Alla luce di quanto sin qui delineato, nonché in ossequio ai principi ed ai criteri interpretativi ricavabili dalla sentenza n. 217 del 2022 della Corte costituzionale, può affermarsi che i Comuni dispongono di autonomia normativa in materia edilizia, la cui legittimazione risulta conferita da disposizioni di grado costituzionale e primario.

Muovendo da tali presupposti è possibile svolgere una considerazione conclusiva in ordine all’eventuale inserimento di prescrizioni afferenti alla cd. «validazione» nei regolamenti edilizi comunali: se, difatti – come illustrato dalla pronuncia esaminata – questi ultimi, traendo la loro legittimazione da una fonte di rango primario, potevano introdurre degli obblighi cogenti di licenza edilizia anche in un’epoca ed in un contesto normativo in cui tali obblighi non erano previsti dalla disciplina statale, non pare potersi escludere – applicando il medesimo principio al quadro legislativo attuale – che il pianificatore locale non possa oggi prevedere fattispecie tecniche che rientrano nella sfera di operatività dell’istituto de quo.