Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 5717/2022 – Condizioni dell’azione: la sussistenza della legittimazione a ricorrere e dell’interesse ad agire in giudizio

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha recentemente reso la sentenza n. 5717/2022 pronunciandosi sull’appello, proposto da un’Amministrazione comunale – assistita dallo Studio Legale «Bruno Bianchi & Partners» – nonché da altra società controinteressata nel primo grado di giudizio, avverso la pronuncia n. 1969/2021 del T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano.

 

Prima di illustrare uno dei profili di maggior interesse delineato dal precedente giurisprudenziale de quo con riguardo alle condizioni dell’azione – riservando ad una separata trattazione la disamina di altro aspetto di rilievo rappresentato dalla distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante dell’atto amministrativo – giova premettere brevissimi cenni in ordine alla complessa questione processuale giunta all’esame del Consiglio di Stato.

 

Come si legge nella sentenza in commento,  «il processo di primo grado ha deciso cinque ricorsi riuniti, concernenti un’unica vicenda amministrativa, relativa alla realizzazione di una grande struttura di vendita» (G.S.V.) ubicata nel territorio comunale, nonché il rifacimento di un’arteria stradale situata nelle immediate vicinanze di questo centro commerciale e del fondo dove sono collocati gli edifici di proprietà della società ricorrente; inoltre, «una porzione minima di questo fondo è oggetto anche di un provvedimento di espropriazione, strumentale alla realizzazione dei lavori relativi al “risezionamento” della suddetta strada». Nel dettaglio:

  • con il primo ricorso è stata impugnata l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune all’esito dell’istanza presentata dalla società controinteressata per porre in essere le opere di urbanizzazione relative alla realizzazione di G.S.V.;
  • con il secondo ricorso si è proceduto ad impugnare la deliberazione di C.C. di approvazione del Piano attuativo e l’autorizzazione commerciale rilasciata ad altra società controinteressata, ogni altro atto presupposto e conseguente, nonché l’accordo di programma sottoscritto tra l’Amministrazione comunale resistente ed altri enti, relativo al progetto di riqualificazione viabilistica concernente l’ambito di riferimento;
  • con il terzo ricorso sono state impugnate la deliberazione di G.C. con la quale il Comune ha approvato il progetto definitivo dei lavori di risezionamento stradale dichiarati di pubblica utilità, la delibera di C.C. di adozione del Piano attuativo, la delibera di C.C. di approvazione del Piano attuativo e di apposizione di vincolo preordinato all’esproprio e l’autorizzazione commerciale di cui sopra;
  • con il quarto ricorso è stata impugnata la deliberazione di G.C. di approvazione del progetto esecutivo dei lavori di risezionamento de quibus;
  • infine, con il quinto ricorso, si è proceduto ad impugnare il decreto di espropriazione per pubblica utilità degli immobili necessari per la realizzazione del già citato progetto di risezionamento stradale.

 

Tralasciando il puntuale esame relativo allo svolgimento del giudizio di primo grado, basti segnalare che, nel rendere la statuizione appellata, il T.A.R. milanese ha dichiarato il primo ricorso inammissibile, il secondo in parte irricevibile, in parte inammissibile ed in parte da accogliere, il terzo ricorso in parte inammissibile ed in parte da accogliere e, da ultimo, ha accolto il quarto ed il quinto ricorso.

 

Per quanto qui rileva, preme soffermarsi sul primo e sul terzo motivo dell’appello proposto dall’Amministrazione comunale – assistita dallo Studio – rammentando come si sia posto l’accento, in relazione al secondo ricorso, sulla mancanza di interesse della società ricorrente all’impugnazione delle delibere di adozione e di approvazione del Piano attuativo, non avendo tempestivamente censurato (determinandone l’inoppugnabilità) gli atti precedenti a queste ultime: si è evidenziata, così, la presenza di un cd. «autovincolo» – nascente a fronte degli impegni assunti dall’Amministrazione comunale in ragione delle previsioni contenute nell’accordo di programma e del contenuto dello strumento urbanistico vigente, al quale dette previsioni accedevano in sede di attuazione del comparto – in conseguenza del quale, inoltre, «l’adozione e l’approvazione del Piano non sarebbero annullabili per la natura vincolata di questi provvedimenti, dato che il loro contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».

 

Il Consiglio di Stato ha esaminato congiuntamente i suddetti motivi, nonché il primo e quarto motivo dell’appello proposto dalla società controinteressata in primo grado, poiché essi «delineano in realtà un’unica articolata censura […] con la quale si contesta la sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire in giudizio» della società ricorrente, ritenendo di dover delibare il motivo di gravame e, per esso, la questione giuridica sottesa «da un lato, in ragione dei principi generali del diritto processuale amministrativo (e del diritto processuale tout court) e, dall’altro, in considerazione della spiccata peculiarità della vicenda in esame».

 

Richiamata, quindi, la fattispecie concreta e ricordato che il pregiudizio paventato dalla ricorrente consiste in quello derivante dal risezionamento stradale e nell’esproprio di parte dei propri bene, in merito agli aspetti correlati ai principi fondamentali del processo amministrativo si è sottolineato, invero, «come a più riprese, per salvaguardarne la sua configurazione come giudizio di parti e di impianto “soggettivo”, questo Consiglio abbia rimarcato la necessità di un’allegazione rigorosa delle condizioni delle azioni. Chi agisce a tutela di un suo interesse legittimo ha l’onere di dedurre e provare, in maniera consentanea a quanto richiesto per le condizioni dell’azione, la sussistenza della legittimazione a ricorrere e dell’interesse ad agire», affermando poi che «queste condizioni delle azioni vanno chiaramente apprezzate facendo riferimento al tipo di interesse per il quale si necessità dell’intervento della funzione giurisdizionale e il tipo di pregiudizio che viene dedotto e che si allega possa essere rimosso soltanto con la sentenza del Giudice (in caso di accoglimento della domanda proposta), con attento riferimento agli effetti giuridici provvedimentali che si assumono lesivi e con specifico riferimento a quelli che saranno gli effetti dell’accoglimento su questi due aspetti connotanti, in sintesi, le condizioni dell’azione».

 

Applicando detti criteri al caso in esame, il Consiglio di Stato ha accolto i motivi di appello, sul rilievo che la decisione di realizzare le opere controverse nella presente vicenda trae origine da atti antecedenti a quelli impugnati, osservando come la decisione di realizzare la G.S.V., subordinata alla sottoscrizione di un accordo di programma tra le amministrazioni interessate riguardante la riqualificazione viabilistica, «è giuridicamente dipesa» dall’approvazione del «Piano di governo del territorio» risalente al 2013: si tratta, chiaramente, di un atto di pianificazione precedente al Piano attuativo impugnato con il secondo ricorso.

 

Parimenti, ha proseguito il Collegio, la decisione di realizzare le opere di riqualificazione viaria e quella circa la compatibilità ambientale del progetto riguardante l’edificazione della G.S.V. e della suddetta riqualificazione stradale «sono scaturite da atti approvati in precedenza rispetto a quelli poi impugnati con i ricorsi proposti dalla società odierna appellata» e, segnatamente, dall’«accordo di programma» e dal «decreto favorevole di V.I.A.».

 

In ragione dei principi di diritto enunciati il Consiglio di Stato ha, dunque, statuito che le domande di annullamento proposte «non sono sostenute dal necessario interesse ad agire, in relazione al tipo di pregiudizio che è stato prospettato dalla parte ricorrente», ciò poiché – a ben vedere – «l’eliminazione degli atti impugnati e, conseguentemente, la regressione del procedimento al momento (giuridico) anteriore alla loro emanazione non eliderà, infatti, la lesione della sfera giuridica della società ricorrente, in quanto, anche qualora venissero riscontrati i vizi di legittimità che la ricorrente ha dedotto avverso gli atti successivi a quelli costituiti dal P.g.t., dall’accordo di programma […]  e dal decreto di V.i.a. […], nulla muterebbe quanto alla decisione, inoppugnata, di realizzare una grande struttura di vendita con collegate opere di “risezionamento” della strada […], nulla muterebbe quanto alle concrete modalità di attuazione di questo progetto e nulla muterebbe circa i profili di incidenza ambientale di quanto realizzato».

 

Si è altresì rilevato come «rispetto ai provvedimenti impugnati nel presente giudizio non viene dedotto uno specifico pregiudizio che non sia quello inerente ai provvedimenti antecedentemente emanati, sicché la loro impugnazione si palesa del tutto “strumentale” e finalizzata a procrastinare la realizzazione dell’opera decisa con il P.g.t., delineata nei suoi profili realizzativi nell’accordo di programma e valutata favorevolmente, quanto ai profili ambientali, nel decreto di V.i.a. […]».

 

Il Collegio si è infine soffermato sulla necessità di valutare previamente «in via pregiudiziale e potenzialmente assorbente (in caso di valutazione negativa), se la legittimazione e l’interesse ad agire» – per come individuate dalla società ricorrente – «scaturissero effettivamente dai singoli provvedimenti impugnati o dalle decisioni inoppugnate dell’amministrazione», concludendo che «da nessuno di questi provvedimenti, in tesi illegittimi, discendono le (potenziali) lesioni che la società ritiene essere state inflitte al suo interesse giuridico collegato alla vivibilità, alla stabilità strutturale del complesso edilizio di sua proprietà e alla conservazione della proprietà sull’intera consistenza di un’area confinante a quelle sulle quali verranno realizzate le opere […]» con la sola esclusione dell’accordo di programma, rispetto al quale, però, le censure proposte in primo grado si sono palesate tardive e, pertanto, irricevibili (come deciso dal T.A.R. con statuizione passata in giudicato poiché non impugnata).