Violazione normativa edilizia di difficile interpretazione

Non costituisce illecito l’aver violato una normativa edilizia dal testo oscuro e di difficile interpretazione: l’incolpevole ignoranza sulla conformità delle opere e lo stato soggettivo di buona fede esclude l’elemento soggettivo del contestato reato

La pronuncia in esame è stata resa in un processo penale, nel quale gli assistiti dello studio sono stati chiamati a rispondere della violazione della disciplina urbanistico-edilizia vigente, in quanto avrebbero effettuato interventi di recupero del sottotetto con altezze superiori ai limiti imposti dallo strumento urbanistico.

La vicenda vede coinvolti il progettista delle opere, i comproprietari dell’immobile, il Direttore dei Lavori, nonché il rappresentate legale dell’impresa esecutrice delle opere, ai quali è contestata la violazione dell’art. 44 lett. a) del D.P.R. 380/01, la violazione dell’art. 481 Codice Penale (per il solo progettista) nonché il concorso nel reato di cui all’art. 110 Codice Penale.

Il nucleo della questione, intorno alla quale si è sviluppato il dibattimento, è inerente alla corretta interpretazione della normativa da applicare per calcolare l’altezza massima degli edifici; sul punto sono state fornite al giudicante, dalla difesa degli imputati e dall’Amministrazione Comunale, due diverse interpretazioni dell’unica disposizione (il Glossario in calce al Regolamento Edilizio) che stabilisce le modalità per operare tale calcolo.

Osserva il Giudice che “sicuramente il testo della voce di Glossario relativo alle altezze degli edifici appare, nella sua formulazione letterale, oscuro e fonte di possibili equivoci, anche rispetto ad un operatore del diritto”, e ciò ha consentito di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo nei contestati reati.

Infatti, in tema di falso ideologico in atto pubblico, di cui all’art. 481 c.p. in merito alla relazione tecnica di asseverazione redatta dal progettista, è richiesto quale elemento psicologico per la configurabilità di detto reato il solo dolo generico; deve tuttavia essere verificato che la falsità contenuta nell’atto non sia dovuta ad una leggerezza dell’agente, ad una incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative o ad una negligente applicazione di una prassi amministrativa.

Nel caso di specie, il Giudice ha ritenuto di escludere la sussistenza della coscienza e volontà di dichiarare il falso, con la conseguente assoluzione del progettista perché il fatto non costituisce reato.

Anche in relazione all’illecito di cui all’art. 44, lett. a) del D.P.R. 380/01, il giudicante ha operato una compiuta indagine in ordine alla sussistenza, in capo agli imputati, dell’elemento soggettivo del contestato reato, rilevando a tal fine la buona fede dell’agente.
“E’ noto – recita la sentenza – come nei reati contravvenzionali, la buona fede dell’agente idonea ad escludere l’elemento soggettivo del reato non possa essere determinata dalla mera non conoscenza della legge, bensì da un fattore positivo esterno che abbia indotto il soggetto in errore incolpevole”.

Ritiene infatti la giurisprudenza che sia configurabile l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale anche nei confronti di soggetti particolarmente dotati di conoscenze professionali specifiche, qualora la normativa di riferimento presenti rilevanti ed oggettivi aspetti equivoci ed oscuri, e qualora il soggetto agente dimostri di aver fatto tutto il possibile per chiarire le ambiguità della norma.

L’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che gli imputati hanno agito in uno stato soggettivo di totale buona fede e “nell’incolpevole ignoranza che le opere indicate in progetto fossero conformi alle prescrizioni urbanistiche”.

E ciò per diverse ragioni: come già detto, per l’ambiguità e l’enigmaticità del testo normativo “anche per un operatore del diritto”; perché l’Amministrazione Comunale non aveva mai fornito alcuna particolare indicazione, né aveva elaborato consolidate prassi interpretative, in ordine alle modalità di calcolo dell’altezza degli edifici e perché l’atteggiamento stesso dell’Amministrazione, inerte, aveva ingenerato negli imputati l’erronea convinzione che il progetto presentato fosse conforme alle prescrizioni urbanistiche.

Inoltre, il comportamento degli imputati avvalora l’ipotesi dello stato soggettivo di buona fede, laddove si attivano prima sospendendo immediatamente le opere, in seguito chiedendo l’avvio del procedimento amministrativo per la loro regolarizzazione, pagando una cospicua sanzione, e dunque riprendono le opere solo a seguito del provvedimento autorizzatorio dell’Amministrazione e della revoca dell’ordine di demolizione.

L’invocata assoluzione di tutti gli imputati è stata accolta dal Giudice il quale, richiamati i principi in ordine all’inevitabilità dell’ignoranza del precetto penale e delle norme extrapenali integratici dello stesso (nel caso de quo il Glossario allegato al Regolamento Edilizio), ha fondatamente ipotizzato che i soggetti agenti versassero in uno stato soggettivo di buona fede al momento del fatto, difettando, in tale modo, l’elemento soggettivo del contestato reato.