Comparto edificatorio – perequazione urbanistica

Tar Lazio 6 ottobre 2014 n. 10021

Un privato impugnava la delibera di giunta regionale di approvazione della variante generale del Comune. Detta variante, relativamente alla nuova espansione residenziale, prevedeva nella zona C, suddivisa in quattro sottozone, cinque nuovi ambiti, a loro volta suddivisi in 25 comparti funzionali (AnCPRn). La variante prevedeva inoltre 16 comparti, distinti con le lettere da A a R, che sono classificati in tre fasce:

  1. ex aree destinate a servizi, mai espropriate, riclassificati in tre fasce;
  2. aree di ricucitura, lungo le principali direttrici di sviluppo cittadino;
  3. aree di nuova espansione.

I terreni di proprietà del ricorrente risultano inseriti all’interno del Comparto R (CPR-R), classificato come “area di nuova espansione”.

All’interno del comparto era assegnato un indice di fabbricabilità territoriale (IT) di 0,50 mc/mq di cui una quota pari allo 0,30 destinata al privato ed una quota pari allo 0,20 destinata al pubblico, con cessione del 50% delle aree in favore del comune.
Tra i vari motivi, il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 23 della l. 1150/1942 e dell’art. 13 della l. 10 del 1977 nonché di varie leggi regionali, in quanto l’individuazione di comparti edificatori sarebbe potuta avvenire esclusivamente in diretta connessione con l’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi e non già in sede di formazione del piano regolatore o di una sua variante generale.

Secondo recenti sentenze del Consiglio di stato il comparto edificatorio, in quanto strumento urbanistico di terzo livello, presuppone non solo l’approvazione dello strumento urbanistico generale ma anche di quelli attuativi. Secondo il Tar, tuttavia, nel caso di specie, non ricorre la medesima fattispecie oggetto della succitata giurisprudenza.

Il giudice amministrativo chiarisce, analizzando la normativa statale e quella regionale che disciplinano l’ istituto, che la perequazione di comparto, in quanto collocata nella fase attuativa del piano, non può derogare il principio di zonizzazione. Il comparto, infatti, non può sviluppare complessivamente una volumetria diversa da quella attribuita dallo strumento generale.
Nel caso di specie, la variante al PRG, nella individuazione dei sei comparti della zona di espansione C e nell’indicare gli indici di fabbricazione territoriale (IT) pubblico/privato e la percentuale delle aree da cedere al Comune, non aveva fatto altro che esercitare tali poteri di zonizzazione, indicando le aree per le quali, solo a seguito di adozione preventiva del PUA (che dovrà essere unico per tutta l’area omogenea), si sarebbe effettuata l’attuazione mediante comparti edificatori.

Pertanto – afferma il Tar – non vi è stata dunque alcuna invasione della sfera di competenza degli strumenti urbanistici di secondo e terzo livello. Trattasi, quindi, di una programmazione urbanistica perfettamente aderente alle funzioni del PRG (o PUG) e non invasiva delle competenze degli strumenti attuativi (PUA).

Infatti, l’art. 7 della legge urbanistica ‘individua quello che deve considerarsi il contenuto essenziale del piano regolatore generale, cioè il contenuto minimo: sicché pare ammissibile che esso, oltre ad individuare le tradizionali zone omogenee di cui al d.m. 1444/68, ne delimiti − all’esterno o all’interno di esse, a guisa di sottozone − anche altre nelle quali si faccia spazio alla applicazione dei principi della perequazione’ (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 20 maggio 2010 n. 19622).

In sostanza, a livello di PRG, era stata solo determinata all’interno della zona di espansione, l’area dei vari comparti, a ciascuno dei quali era stato attribuito un indice di fabbricabilità, mentre la disciplina di dettaglio del territorio ricompreso nel comparto veniva rimessa in primo luogo alla pianificazione attuativa e quindi al comparto edificatorio, mediante forme di edilizia convenzionale. (cfr. in questo senso l’art. 20 delle NTA del comune).

Nella relazione tecnica del comune, l’acronimo “CPR n” non era altro che un modo per individuare il “comprensorio” e per disciplinare la norma attuativa della medesima zona , ma era comunque sempre ribadito che si trattava di “zone C di espansione soggette a Piano urbanistico Attuativo di secondo livello”, anche se poi le suddette aree assumevano natura di comparti edificatori ai sensi dell’art. 23 l. 1150/1942, in sede di attuazione del PRG.

Si tratta pertanto – ha chiarito il Tar – di un procedimento assolutamente compatibile con la natura dello strumento urbanistico generale, peraltro generalmente usato anche da altri enti locali con finalità perequativa c.d. generalizzata.
Anche nel caso di specie la scelta del comune di indicare nelle zone di espansione i vari comparti, prevedendo per ciascuno di essi un unico indice di fabbricabilità, era mosso da intenti perequativi, al fine di garantire a ciascuno dei proprietari dei fondi insistenti su tali aree il diritto edificatorio secondo l’indice previsto dal PRG.

Un altro rilevante aspetto che consentiva di ritenere tale attività come non invasiva della sfera di competenza degli strumenti urbanistici attuativi di secondo e terzo livello era confermato dal fatto che, dopo l’approvazione della variante generale, il Comune aveva effettuato, proprio in via propedeutica alla attuazione dei comparti, una ricognizione delle volumetrie esistenti nei comparti di nuova espansione, dando indirizzi operativi per la loro perimetrazione e attuazione.

Il ricorrente deduceva anche la violazione dell’art. 42 Cost. sostenendo che la disciplina del comparto CPR-R, laddove riservava al pubblico una percentuale pari allo 0,20% dell’indice di fabbricabilità fondiaria e prevedeva la cessione gratuita del 50% delle aree private al comune, costituiva una forma di espropriazione atipica e contrastante con la Costituzione. Sottolineava che comunque tali prescrizioni non avrebbero potuto essere applicate perché le aree di sua proprietà erano già ampiamente edificate.
Per il Tar anche tale motivo non può trovare accoglimento. Le previsioni del piano regolatore, nella parte in cui esse riservano al pubblico una percentuale pari allo 20% dell’indice di fabbricabilità fondiaria e prevedono la cessione gratuita del 50% delle aree private al comune, sono perfettamente legittime e conformi alla Costituzione, giacché rispondono alla funzione di consentire la realizzazione di standard urbanistici e di realizzare le attrezzature e i servizi pubblici necessari, attraverso lo strumento del comparto edificatorio e mediante il ricorso a procedure convenzionali, anziché a procedure di esproprio.

Infatti, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Diversamente opinando si priverebbe la p.a. di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli art. 9 comma 2, 32, 42, 44, 47, comma 2, cost. (T.A.R. Bari (Puglia) sez. I , 08/08/2013, n. 1232).