Principio comunitario del “chi inquina paga”

Messa in sicurezza dei siti inquinati e principio comunitario del “chi inquina paga”.
L’Adunanza Plenaria rimette la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 25 settembre 2013, ordinanza n. 21

Con la pronuncia in esame l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio, e rinviato gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per la seguente questione pregiudiziale:
“se sia compatibile con l’ordinamento europeo e, in particolare, con il principio comunitario del “chi inquina paga”, l’interpretazione delle disposizioni del Codice dell’Ambiente nel senso di individuare in capo alla P.A. l’obbligo di applicare le misure di messa in sicurezza d’emergenza sui siti inquinati, ex art. 240, D. Lgs. n. 152/2006, quando non sia identificato o identificabile il responsabile dell’inquinamento”.

Il Sommo Consesso amministrativo giunge alla formulazione del quesito dopo avere puntualmente esaminato il contrasto giurisprudenziale in atto, con specifico riferimento alla responsabilità del proprietario del sito inquinato, il quale risulti estraneo alla contaminazione.

Ciò facendo il Collegio enuncia le proprie conclusioni, pronunciandosi incidentalmente su una serie di questioni giuridiche di carattere interdisciplinare, soffermandosi sul fenomeno della responsabilità oggettiva, degli oneri reali, del danno ambientale e del principio del “chi inquina paga”.

La questione nasce dalla sezione VI del Consiglio di Stato alla quale giungeva il ricorso in appello del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) nel quale gli appellanti lamentavano l’erroneità e l’ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui aveva statuito che: “nell’ipotesi di mancata effettuazione degli interventi di ripristino ambientale da parte del responsabile dell’inquinamento (ovvero, nell’ipotesi di mancata sua identificazione), le attività di recupero ambientale devono essere eseguite dalla P.A. competente”, fermo restando il diritto di rivalsa sul soggetto responsabile, nei limiti del valore dell’area bonificata, e le “garanzie” gravanti sul terreno in relazione ai medesimi interventi.

In altri termini, i giudici del primo grado di giudizio avevano dichiarato compatibile con i principi europei del “chi inquina paga” e di precauzione, l’obbligo sancito dall’art. 240, comma 1, lett. m) 1, del D. Lgs. 152/2006, nei confronti solo di coloro ai quali può essere addebitato l’inquinamento secondo le regole probatorie ordinarie.

Il collegio investito del giudizio d’appello decideva di rinviare la questione all’Adunanza Plenaria osservando, in particolare, che i primi giudici, lungi dal ritenere inapplicabili le misure di messa in sicurezza d’emergenza, piuttosto avevano ritenuto a buon diritto che fosse necessario preliminarmente verificare l’esatta distribuzione degli obblighi tra l’autore dell’inquinamento (indipendentemente se proprietario dell’area o meno) e il proprietario che invece risultasse tale al momento in cui l’amministrazione aveva ordinato le misure imposte dalla legge.

Sotto questo ultimo profilo veniva altresì rilevato un forte contrasto giurisprudenziale e rinviava pertanto la questione all’Adunanza Plenaria la quale, a sua volta, deferiva la questione alla Corte di Giustizia.

Vengono in particolare evidenziati dal Collegio Plenario i due orientamenti contrastanti in materia, il primo dei quali ritiene legittima l’imposizione dell’obbligo di applicare le misure di sicurezza d’emergenza in capo al proprietario dell’area, anche se non responsabile dell’inquinamento, il secondo viceversa esclude questa possibilità.

Nelle sue motivazioni l’Adunanza Plenaria sembra propendere per il secondo dei due orientamenti sopra esposti, precisando che gli unici obblighi che il proprietario (non responsabile dell’inquinamento) può essere chiamato a sopportare sono quelli connessi all’art. 253 Codice dell’Ambiente, ossia quelli dipendenti da oneri reali gravanti sull’immobile.

In altri termini, il proprietario del sito contaminato, e non responsabile della contaminazione, sarebbe obbligato all’adozione delle sole misure di prevenzione specificamente individuate dall’art. 242 Codice dell’Ambiente; nel caso in cui non sia stato individuato o non sia individuabile il responsabile dell’inquinamento spetterebbe alla P.A. eseguire le opere necessarie al recupero ambientale, fermo restando il diritto di rivalsa e le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi.

La pronuncia si sofferma sul richiamo effettuato alla categoria degli oneri reali, essendo solamente questi ultimi in sostanza a gravare sul proprietario, al fine di motivare il ragionamento logico-giuridico che giustifica la scelta di aderire all’orientamento il quale esclude che sul proprietario del sito inquinato, e non responsabile della contaminazione, possa gravare l’obbligo di cui all’art. 240 Codice dell’ambiente.

Conclusivamente, ribadisce il Supremo Consesso amministrativo, la lettera del legislatore, avendo richiamato la categoria degli oneri reali, non poteva che voler sostenere l’imputabilità alla P.A. dell’obbligo degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, residuando in capo al proprietario “incolpevole” esclusivamente l’onere di sostenere i costi nei limiti del valore del fondo.