Permanenza del reato edilizio

La permanenza del reato edilizio cessa con l’ultimazione dei lavori e non può essere “riesumata”

Nota a Cassazione Penale, Sezione III, 24 luglio 2013, n. 32079

Non può ritenersi che la realizzazione di un intervento di riedificazione di una parte preesistente di un edificio, seppure abusivo, possa ”riportare in vita” la permanenza di una precedente condotta ormai perfezionatasi, anche nei suoi originari profili di illiceità.
Il tema è stato oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte nella fattispecie che verte sulla individuazione del momento consumativo dell’illecito edilizio e sulla possibile “reviviscenza” del medesimo dopo che i lavori siano stati eseguiti.

Il Supremo Collegio, dopo aver premesso un’utile escursus dell’evoluzione giurisprudenziale sul tema della permanenza dell’illecito edilizio, perviene alla conclusione secondo cui non è possibile ipotizzare il protrarsi della permanenza dell’illecito dopo che i lavori siano stati ultimati, dovendosi escludere che la nuova edificazione su un immobile realizzato abusivamente consenta di far «rivivere» la permanenza dell’illecito, ormai interrottasi per effetto dell’ultimazione del precedente intervento abusivo.
La vicenda processuale trae origina dall’impugnazione dell’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva respinto il ricorso proposto dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo di un villaggio turistico, in relazione al procedimento penale per i reati di cui all’art. 44, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001.

Si era ipotizzato che fossero stati realizzati, nell’ambito di un complesso turistico autorizzato solo in parte, ulteriori edifici abusivi in quanto era in corso la ricostruzione della sopraelevazione di locali adibiti a market, già realizzata abusivamente in precedenza.
L’ordinanza in questione, aveva considerato unitariamente il complesso turistico, ritenendo che l’abuso edilizio avesse natura permanente per effetto dei lavori di ricostruzione della sopraelevazione, ritenendo che le opere non si potessero considerare sanate in assenza di specifici provvedimenti.

Con la proposizione del ricorso per Cassazione, l’indagato ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato per violazione di legge, deducendo che i reati fossero prescritti, in quanto il complesso turistico era stato già realizzato nel 2000 nella sua completezza, con la conseguenza che, semmai, il sequestro avrebbe dovuto riguardare solo le opere successivamente realizzate.
La tesi è stata condivisa dai giudici di legittimità che, nell’affermare il principio di cui in premessa, hanno annullato l’ordinanza di rigetto, ritenendo fondato il motivo di ricorso afferente all’intervenuta estinzione per prescrizione del reato in questione.
La ratio che ha ispirato i giudici di legittimità nell’adozione della pronuncia liberatoria inerisce la nozione della permanenza del reato, in particolare del reato di costruzione edilizia abusiva il quale è, pacificamente, permanente.

Deve pertanto ritenersi ultimato, e ciò ai finì della decorrenza della prescrizione, l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, quale è nel caso di specie: la stessa ordinanza impugnata, infatti, riconosceva che il completamento del villaggio fosse avvenuto in data precedente, ma riteneva altresì che la riedificazione della sopraelevazione avrebbe dimostrato “la prosecuzione”; evidentemente gli Ermellini non hanno condiviso l’assunto annullando il provvedimento impugnato con conseguente rinvio al tribunale del riesame per una complessiva rivalutazione della questione.