Permanenza funzionale strutture in legno di stab. balneare

La precarietà non va confusa con la stagionalità: la permanenza funzionale delle strutture in legno di uno stabilimento balneare necessita del permesso di costruire

Nota a Cassazione Penale, Sezione III, 28 gennaio 2013, n. 4131

Non implica precarietà dell’opera e richiede, pertanto, il permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, potendo il manufatto essere destinato a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione.

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi con la sentenza in esame sulla questione della natura giuridica “precaria” di un intervento edilizio, con particolare riferimento a quelle opere “lato sensu” stagionali in quanto, di regola, volte a soddisfare esigenze temporanee che si manifestano durante il periodo estivo.

La Corte, nel respingere la tesi difensiva che sosteneva la natura stagionale e, quindi precaria, dell’opera edilizia costituita da uno stabilimento balneare, inserendosi nella scia di un filone giurisprudenziale ormai consolidato, giunge a concludere che l’intervento di che trattasi non può essere considerato precario, tenuto conto del carattere non transitorio dei bisogni che la stessa era volta a soddisfare.

La vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte per occuparsi della questione, vedeva imputati del reato di cui all’art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 due soggetti ai quali era stata contestata la realizzazione, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico ed in assenza del prescritto permesso di costruire, di alcune strutture in legno di uno stabilimento balneare.

I giudici di merito avevano escluso la “precarietà” dei manufatti, così pervenendo a giudizio di condanna per assenza del titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire.

In sede di impugnazione della predetta pronuncia veniva eccepita l’illegittima esclusione della natura precaria dei manufatti, i quali erano stati prontamente demoliti dopo l’intervento della polizia giudiziaria.
La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva ritenendo, sul punto, del tutto destituiti di fondamento i motivi di impugnazione e ripercorrendo l’evoluzione della giurisprudenza in materia.

Nel proprio percorso motivazionale la Cassazione ricorda che, secondo un orientamento consolidato, la natura “precaria” di un manufatto, ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; il fatto che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo risulta irrilevante.

Prosegue il Collegio ricordando che il concetto di “precarietà” è indifferente al tipo di materiale utilizzato o al sistema di ancoraggio al suolo, essendo rilevante l’uso al quale è destinato il manufatto, ad esempio nel caso in cui, indipendentemente dalla facilità di rimozione, esso rilasci la propria utilità in un tempo prolungato.

Precisa altresì la Cassazione che “la precarietà non va confusa con la stagionalità”, intendendosi con tale seconda locuzione un utilizzo annualmente ricorrente che ben potrebbe permanere nel tempo, non rinvenendosi il carattere di eccezionalità e contingenza dell’uso.

Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte, le esigenze alle quali i manufatti in legno erano finalizzate sono state ritenute non temporanee, emergendo ad evidenza l’attitudine delle opere ad una utilizzazione non contingente né limitata nel tempo, indicativa dell’impegno effettivo e durevole di una parte del territorio.

Da qui, dunque, la rilevanza penale del fatto e la conseguente affermazione di responsabilità dei ricorrenti.