La valutazione dell’abuso presuppone una visione complessiva e non atomistica dell’intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.
Consiglio di Stato 6 giugno 2012 n. 3330
Un privato, proprietario di un annesso agricolo già precedentemente condonato, presentava istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 140 della l.r. Toscana n. 1/2005 per la sostituzione di detto annesso con un manufatto in muratura.
Il Comune respingeva l’istanza in questione, rilevando come l’intervento comportasse un incremento volumetrico non ammesso dagli strumenti urbanistici. In particolare, detto manufatto non risultava conforme alle indicazioni contenute nel vigente Regolamento comunale secondo cui erano possibili interventi di demolizione e ricostruzione di manufatti in situazioni precarie a condizione che fosse mantenuta la cubatura originaria, al netto delle murature esterne per un massimo di trenta centimetri.
Ma secondo il ricorrente, che dunque impugnava il provvedimento comunale contenente l’ordine di demolizione relativamente sia all’immobile per cui era stata richiesta la sanatoria sia della struttura connessa, per calcolare il volume del fabbricato occorreva applicare le norme vigenti alla presentazione della domanda di sanatoria e non quelle – come invece operato dal Comune – del Regolamento comunale “sopravvenuto” rispetto al fatto, con i loro differenti criteri di calcolo della volumetria.
Secondo il Consiglio di Stato, legittimamente il Comune aveva negato l’accoglimento della domanda di sanatoria, ciò in quanto il manufatto in questione non ricade nella fattispecie di cui al disposto dell’art. 140 della l.r. Toscana n. 1/2005 (in materia di accertamento di conformità) ai sensi del quale l’intervento realizzato deve essere “conforme agli strumenti della pianificazione territoriale, agli atti di governo nonché al regolamento edilizio vigente sia al momento della realizzazione dell’opera sia al momento della presentazione della domanda”.
Il Supremo Consesso amministrativo si trova ad esaminare un’altra importante questione. Il Comune aveva fondato il proprio diniego di sanatoria anche sulla omessa ottemperanza ad un precedente ordine di demolizione relativo ad una parte di fabbricato non oggetto dell’istanza di accertamento di conformità. Il ricorrente contestava tale assunto, aggiungendo di aver presentato nello stesso anno due distinte istante di condono edilizio per due autonomi interventi eseguiti in tempi diversi (nello specifico, una riferita al fabbricato oggetto di demolizione e ricostruzione, un’altra ad un ampliamento costituente un appendice, indipendente dal punto di vista funzionale e strutturale, dal predetto fabbricato).
Osserva, a tal riguardo, il giudice amministrativo che i due interventi, essendo contestuali e risultando entrambi ultimati alla stessa data, non possono nel caso di specie essere artificiosamente frammentati, per il solo fatto della presentazione di due istanze messa in opera dalla ricorrente, ma vanno ricondotti in realtà ad un unico ed unitario intervento, che è quello che ha nei fatti, dunque nella realtà materiale, portato alla creazione di un organismo edilizio che è diverso per forma e dimensioni da quello preesistente.
L’Amministrazione è infatti obbligata – ai fini della razionalità dell’azione amministrativa e del rispetto del principio costituzionale di buon andamento – esaminare contestualmente l’eventuale pluralità di istanze di sanatoria prodotte in riferimento a un medesimo complesso edilizio, e ciò al fine precipuo di contrastare – ove ne ricorra il caso – artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può ora essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.
Ciò significa, in sostanza, che la valutazione dell’abuso edilizio presuppone dunque una visione complessiva e non atomistica dell’intervento giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.