Commento sentenza Tar Brescia n. 3555 del 22-09-2010

Commento sentenza Tar Brescia n. 3555 del 22.09.2010

Con la sentenza in commento il Tar della Lombardia, sede di Brescia, ha statuito in relazione alla presentazione, da parte di proprietari di un immobile adibito a ristorante, classificato in zona A, centro storico, e, pertanto, ricadente all’interno di un’area sottoposta a vincolo paesistico, di una Dia contemplante il progetto di un intervento edilizio su di una pedana esterna consistente nella sostituzione della tenda a copertura di plateatico.

Nel corso di un sopralluogo è stato accertato che le opere realizzate risultavano difformi alla Dia presentata e, pertanto, ne è conseguito, da parte dell’Ente Locale, l’ingiunzione di demolizione e di remissione in pristino nel termine di 30 giorni ex art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 ed ex art. 167 comma 4 del Dlgs. 42/2004.

Contro la suddetta ordinanza la ricorrente ha presentato impugnazione lamentando, in via preliminare l’inammissibilità del ricorso in quanto nel provvedimento impugnato  non vi sarebbe alcuna indicazione della lesione dell’interesse paesistico tutelato, e, nel merito, la violazione degli art. 31 e 34 DPR. 380/2001, in quanto il manufatto costituirebbe mera pertinenza del ristorante ed avrebbe natura stagionale e, dunque, precaria, nonché dell’art. 37 del provvedimento citato in quanto l’ingiunzione contemplerebbe la demolizione dell’intero manufatto e non delle sole parti difformi.

In merito all’eccezione di inammissibilità i Giudici Amministrativi hanno rilevato, che  il Comune, all’esito del sopralluogo e al fine di ingiungere la demolizione e il rispristino dei luoghi, si è limitato a contestare la mancanza di autorizzazione paesistica e l’impossibilità della sanatoria, senza indicare, tuttavia, un autonomo profilo di lesione dell’interesse paesistico tutelato. Risulta quindi evidente che l’aspetto decisivo della controversia è quello urbanistico ed in ultima analisi che  se la costruzione fosse stata regolarizzabile sul piano urbanistico ne sarebbe conseguita direttamente anche l’ammissibilità della sanatoria paesistica, in quanto sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004,  l’imposizione della sanzione demolitoria per opere che una volta demolite potrebbero essere ricostruite identiche.

In effetti, il Collegio ha evidenziato che la disposizione di cui all’art.art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 deve essere letta in accordo con il principio di proporzionalità, in quanto il divieto di sanatoria paesistica, ex se, ha in realtà la funzione di impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. Il fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico. Dove tuttavia non sussista alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva.

In ultima analisi dimostrare il minimo impatto edilizio sembra, in via interpretativa, l’unico mezzo a disposizione del proprietario per conseguire la permanenza ininterrotta della struttura nel sito prescelto,evitando quindi l’onere di rimozione e reinstallazione, sul presupposto che le opere inidonee a provocare disturbo sotto il profilo edilizio non sono intercettate dai divieti di edificazione posti dalla disciplina comunale.

In relazione agli altri motivi di censura i Magistrati amministrativi hanno evidenziato che sul piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non secondo i canoni civilisti, ma in ragione della modesta rilevanza economica e del limitato peso del territorio, presupposti che, nel caso di specie difettano, così come  ne difetta il carattere precario, essendo equiparabile agli altri locali del ristorante.

In ordine all’uso stagionale, il Collegio rileva che potrebbe configurarsi un uso stagionale della struttura, d intendersi come somministrazione, all’interno dello spazio, limitata ad una parte dell’anno la cui individuazione, peraltro, sarebbe legata esclusivamente  alle scelte imprenditoriali in quanto le caratteristiche proprie del manufatto ne consentirebbero un impiego di per sé continuativo.